Caro Maestro,
ti penso ogni tanto, con quei
baffetti folti e scuri, mi mettevi soggezione. Non ridevi mai così preso dalla
pluriclasse numerosa a cui badare. Spiegavi sempre, se non era per noi di
seconda, era per quelli di quarta seduti nei banchi della terza fila, alla
nostra destra.
Non avevo il coraggio di
parlarti e soprattutto di dirti quello che non capivo.
Il primo giorno di scuola ci
avevi dato il compito di scrivere, come prima cosa, la data all’inizio della
pagina del quaderno a righe.
Io avrei voluto chiederti cosa
fosse una “data” dato che come prima cosa la Elda mi faceva scrivere il mio
nome e cognome. Di seguito scrivevo la data anche se non sapevo che si
chiamasse data perché la maestra Elda diceva:
“Ora scrivete tutti il luogo
in cui ci troviamo: Cà Lattis. Bravi!”
“Mettete una virgola dopo Cà
Lattis e scrivete il monosillabo “lì” con l’accento sopra la “i” così come lo scrivo io alla lavagna: copiate!”
Diceva poi: “ Quanti ne
abbiamo oggi?”
“Venti” rispondeva la classe
in coro.
“Bravi! Scrivete venti in cifre così “20”, due e zero.
Copiate!”
“In che mese siamo? Il nome
l’abbiamo scritto tante volte, esattamente venti. Dunque scrivete Marzo come
ieri, ieri l’altro e tutti i giorni precedenti, infine l’anno 1952 , in cifre.”
Ma io non avevo capito bene,
era il mio primo giorno di scuola. Ho copiato tutta la scritta e sapevo solo che
corrispondeva al giorno del mio compleanno.
La maestra Elda , che abitava
a casa con noi durante il periodo della scuola, mi aveva già preparata con le
aste, i numeri e il mio nome e cognome. Io e la maestra dormivamo nella stessa
stanza e lo sai , Caro Maestro, che non
si aveva il bagno in casa, allora.
Il gabinetto era una casupola
nel campo vicino casa, nei bassi comodi.
In camera si cercava di non
farla, ma all’occorrenza c’era un orinale e un secchio smaltato che
generalmente serviva per raccogliere l’acqua del catino, ma che nei casi
estremi ci potevi fare i bisogni, nei casi estremi!!!, non come faceva la
maestra tutti i giorni, visto che non le andava di andare nel gabinetto
all’aperto.
A mia mamma, la cosa non andava a genio. Se la
Elda la faceva di mattina e poi se l’andava a svuotare nel letamaio, lasciava correre, ma se alle volte le scappava
di sera e si teneva i bisogni tutta la notte nel secchio, seppur coperto, mia
mamma si lamentava e la sentivo dire: “Elda, non va ben a sto modo, la finisse
per asfissiar me fiola Nara, a respirar la spussa tuta la note! No me comoda
sto fato!”
Non ricordo come sia andata a finire, io
mettevo la testa sotto le coperte e mi addormentavo.
Ricordo bene quando al
risveglio Elda mi pettinava i capelli, che avevo lunghi, e ne raccoglieva un
ciuffo al centro annodato con un nastro rosso come un uovo di Pasqua. Mi faceva
un male boia e cercavo di scapparle, ma lei mi acchiappava per spalle e con una
scrollata mi obbligava al supplizio. Per questo motivo non vedevo l’ora che se
ne tornasse a casa sua a Bottrighe.
Tu non sapevi ancora che avevo
fatto la prima in soli tre mesi a Cà Lattis con la Elda.
Disgraziatamente la mia compagna di banco era tutta precisina
e moralista, l’Amedea, detta “la pastora” perché la famiglia possedeva un
gregge di pecore da poco arrivati dagli Appennini modenesi. Cercai di copiare
da lei la “data”. Mi bastava capire che la composizione non mi era nuova, ma lei protesse la sua
pagina innalzando una parete di carta assorbente bianca e spessa, della misura
del quaderno.
“Non si copia –disse- e sparì
essa stessa dietro la parete bianca”.
Mi sentii perduta.
Provai a scrivere il mio nome,
sapendo che era il mio nome e non la data, quindi lo cancellai. Poi provai a
scrivere altro, forse Cà Lattis ma non mi trovavo a Cà Lattis e ancora
cancellai fino a che non ottenni un bel buco slabbrato con i margini sfumati di
nero.
Caro Maestro, hai aggrottato
le sopraciglia nel vedere il mio elaborato, poi hai spiegato cosa fosse una
data.
Te ne sono grata con tutto
l’affetto e perché non ho più avuto bisogno di valicare pareti bianche di
tramezzo.
Grazie :)